Una tesi
di MARTINA SANTIMONE
2002
Un giorno, qualche anno fa, ebbi modo di ammirare, ad una mostra, dei quadri blu che mi colpirono molto. Erano grandi e ognuno era caratterizzato da figure senza volto, o meglio, con il volto cancellato dal colore. Esse erano state vestite, mediante la pittura, di bianco.
Sembravano delle Madonne e degli angeli, immersi in un cielo profondo, di un blu intenso ma che non copriva uniformemente le superfici. Lasciava trasparire un po’ di quella che era la realtà sottostante, di quelle donne che erano “rubate” dai loro ambienti per diventare delle creature angelicate, metafisiche, universali.
Mi piacquero molto quei lavori, forse per la loro misticità, per il loro voler volare via dalla realtà, aprirsi a nuovi cieli e a nuovi mondi.
Il creatore di quelle opere è Riccardo Paracchini.
Col tempo ebbi modo di recuperare qualche catalogo delle sue mostre, di leggere alcuni suoi testi su una rivista da lui ideata con Luca Scarabelli, “Vegetali Ignoti”, di conoscere altre sue opere sul suo sito Internet…e pian piano rimasi sempre più affascinata dai suoi dipinti, tanto da arrivare ad appenderne in camere le riproduzioni o conservare nel portafoglio dei piccoli “santini”.
Un giorno gli scrissi.
Iniziò così un piacevole scambio di e-mail poiché io ero molto curiosa di avvicinarmi alle sue creazioni.
E lo incontrai.
Ebbi la fortuna di vedere decine di quadretti, di disegni, di tele, e di ascoltare mille parole sull’arte, sulle sue opere, sui colori, sulla poesia.
Scoprii il suo curioso percorso artistico che partì con l’utilizzo del rosso su pezzi di carta da parati, per poi passare all’uso del blu e del rosa su immagini di fiori e di donne.
Mi incuriosì molto l’origine delle opere blu.
Un tempo egli scrisse una favola con un linguaggio antico, compiendo una ricerca sulla poesia tra il 1200 e il 1400, sullo stile stilnovista e dantesco.
Nacque così una ricerca anche sulla pittura nella storia dell’arte di quel periodo che venne poi riproposta concretamente nelle sue opere.
I fondi blu infatti, derivano dal colore che veniva utilizzato per gli sfondi di quell’epoca e poi hanno un preciso intento, quello di dare l’idea di un qualcosa di asettico, irreale, ideale e spirituale.
Il blu vuole portare la realtà in una dimensione metafisica e il fatto di nascondere il volto delle donne svuota l’individualità, il ritratto del singolo, la rende anonima ma nello stesso tempo le fa assumere un valore universale.
Paracchini usa la pittura per ricostruire la realtà ma anche per modificarla. Sceglie infatti delle immagini di riviste, immagini che fanno parte della realtà, o comunque la rappresentano, per poi intervenirci con un processo pittorico che fa assumere loro altri significati e li porta in un’altra dimensione. La pittura serve per costruire. Per costruire un mondo nuovo, un mondo ideale. Per vestire la figura, per moralizzarla.
Negli ultimi tempi poi, egli aggiunge alle sue figure le ali.
Le ali disse che servono per far volare le persone, per dar loro un’altra identità, un carattere più spirituale. E finiamo per incontrare poi, un dipinto di una Madonna…con le ali. Segno che non è importante la rappresentazione fedele del soggetto, ma che rilevante è il significato che le si fa assumere, in questo caso sottolineando ancor di più il concetto ideale dell’opera.
Dietro ad ogni lavoro poi, egli scrive una frase.
Scrive un insieme di parole che giungono dalla radio, da lontano, dall’etere, nel momento in cui sta firmando l’opera. Canzoni che sente alla radio. Non sono sempre frasi complete perché mentre lui scrive una parte, la musica prosegue e vengono messe insieme parti di diverse frasi.
Negli anni perdono la loro temporalità e diventano ricordi, poesie che assumono anch’esse un’aura metafisica.
Me ne piacque particolarmente una.
“I tuoi occhi che mi stanno a guardare”
Fui talmente incantata da questa “pratica” che la sera stessa volli provare anch’io!
Qualcosa di buono ne uscì.
Gli chiesi il significato che lui dava a quel colore tanto amato da me.
Egli lo collegava immediatamente all’idea della pittura, probabilmente legato alla sua storia personale, nella quale il blu ha assunto un ruolo fondamentale.
Ma poi pensò anche alla profondità, al rumore del mare, al periodo dell’infanzia, alla fanciullezza.
Nella sfera reale il blu è spesso sinonimo di freddezza ma nel campo spirituale è sintomo di una profonda sublimazione dei sentimenti.
È un colore che evoca la creazione.
Mi colpì anche il curioso fatto di lasciar in evidenza gli errori, i cambiamenti operati nel corso della realizzazione. Mi feci così raccontare il motivo di questa scelta che egli fece risalire al raggiungimento di una sorta di livello di conoscenza, di comprensione di sé per cui si accettano e si riconoscono gli errori. Un processo di avanzamento morale e di crescita.
Estratto dalla tesi di Martina Santimone, 30 Gennaio 2003.
Altri Testi…