La teoria della pittura
di GIOVANNI FICETOLA
2002
Alla prima occhiata, emerge subito il rapporto sfondo-soggetto delle opere: lo sfondo è monocromo, quasi sempre blu. Il blu viene usato nelle quattro opere che sono probabilmente ambientate in interni. Il blu è però normalmente il colore degli interni (cieli, mari, …): danno quindi l’idea di essere in uno spazio vasto, delocalizzando l’azione, rendendola libera da riferimenti temporali o spaziali.
Anche il rosa dell’unico dipinto ambientato sicuramente in esterno (“Ritratto durante una pausa del viaggio”), colore steso sopra al blu, delocalizza da riferimenti reali la situazione.
Gli sfondi non sono rifiniti, la stesura è volutamente scabra, per evitare un’aura di perfezione e per calare l’agire in una realtà vera e terrena.
Sopra ai fondali ricchi e corposi, le figure si staccano avvolte in manti candidi. Il bianco, steso dopo il fondo e sopra ad esso, non copre completamente il fondale: le figure risaltano ma non sono avulse dal luogo, per quanto imprecisato sia, in cui si svolge la scena, ma si trovano all’interno. Il bianco non è un colore scelto a caso: iconograficamente simbolo di purezza, della luce, della santità e della verginità, è una tinta poco coprente e non riesce a cancellare il fondale sottostante: le figure sono immerse nell’ambiente che le permea in profondità. Non so quale sia il luogo dell’azione, non so quando avvenga, ma si tratta di un luogo reale, e l’azione non può essere separata dal luogo reale.
Le figure sono rappresentate da figure ritagliate da riviste: sono quindi immagini di persone reali, e non delle figure ideali dell’artista. Le foto mantengono la propria impersonalità: non conosco i soggetti ritratti, e i volti, tranne in un caso dell’angelo, non sono riconoscibili, coperti dal fondale, dall’ambiente. Anche nell’arte musulmana le figure sacre sono rappresentate con il volto bianco, e lo stesso problema ha interessato il cristianesimo con la lotta iconoclasta: non si può rappresentare il volto sacro. In questo caso però il volto è coperto non perché le figure sono tanto celesti e belle da trascendere la percezione umana, ma, al contrario, potrebbero essere persone che conosciamo, ma non sappiamo chi: il sacro è in fieri, avviene tra noi. Non so chi siano i soggetti, ma sono reali, vivono attorno a me nel mio tempo (e “L’angelo che ascolta il ventre di Maria” ha l’orologio al polso, contro ogni regola dei colossal storici). La vergine in due dipinti non è completamente priva di volto: appare solo la bocca, strumento della salvezza, con cui lei ha detto Sì. Con essa lei può sorridere: c’è gioia nel dire Sì.
Moralone finale. La teoria dei quadri, che riprende la tradizione delle storie sacre, si stacca dal tradizionale nel messaggio più che nella forma: la storia si svolge in un tempo e in un luogo che non può essere determinato, è totalmente impersonale, ma al contempo è concreto e reale: non so dove, non so quando, ma da qualche parte, in qualche tempo, accade o è accaduto. Lo stesso vale per i personaggi: non so chi siano, ma è accaduto o sta accadendo a persone reali, vive. Potrebbe essere, oggi, la mia vicina di casa: potrebbe essere chiunque.
Gli sfondi non sono rifiniti, la stesura è volutamente scabra, per evitare un’aura di perfezione e per calare l’agire in una realtà vera e terrena.
Non so quale sia il luogo dell’azione, non so quando avvenga, ma si tratta di un luogo reale, e l’azione non può essere separata dal luogo reale.
Potrebbe essere, oggi, la mia vicina di casa: potrebbe essere chiunque.
Altri Testi…