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Surplace

di LUCA SCARABELLI

2023

 

I dipinti di Riccardo Paracchini sono una testimonianza. Nel profondo è un pittore del trecento, un pittore antico che si rapporta con qualcosa di più in alto, celebra e racconta senza raccontare. Agli inizi degli anni ’90 (periodo che ha corrisposto a diverse collaborazioni e scorribande compiute con lui all’interno del mondo dell’arte, promosse e rinforzate poi con il nostro progetto della “gilda” di Vegetali Ignoti) ci fu una mostra a Lugano, intitolata “Manifestatori delle cose miracolose”. Riguardava l’arte italiana tra il ’300 e il ’400. Il catalogo esordiva così: “Impercioché noi siamo per la gratia di Dio manifestato agli uomini grossi che non sanno lettera, de le cose miracolose operate per virtù et in virtù de la santa fede…”. Sono parole del 1356, tratte da un documento di pittori senesi. Pittori mediatori tra la vita terrena e il mondo trascendente. Dipingere come atto di devozione. Per Riccardo credo sia un po’ la stessa cosa, ricercare l’assoluto e costruire la felicità eterna anche attraverso la pittura. L’arte è sacra.

Il suo linguaggio non è certo quello dei primitivi, anche se si ritrovano certe suggestioni ed affinità elettive per talune impostazioni compositive o per il rapporto dialettico con uno spazio che è ascetico. Il colore per Riccardo è determinante, è la storia della pittura. Il dipinto in mostra appartiene ad un suo progetto reiterato negli anni, a seguito di un periodo caratterizzato dal colore rosso: “Storia sulla pittura”. La pittura come allegoria ed esercizio morale.

L’immagine originale è stata tratta da una rivista di moda. La figura femminile ritratta, viene rivista e rimodellata secondo la sua visione. Viene proprio rivestita di un altro senso. Avvicinandosi si riescono a intravedere i minuscoli particolari della stampa su tela che riportano all’immagine primigenia, che non è negata totalmente, ma riequilibrata e rinnovata, rivisitata dal potere salvifico della pittura e dal colore. I colori sono sempre pochi, in questo caso due; il blu (pensando agli affreschi giotteschi) e il bianco che corrisponde al corpo, alla veste. Colori assoluti e universali che contengono tutto. La figura ha qualcosa di spettrale e non ha la testa, non rappresenta e non è il ritratto di un angelo anche se ha due grandi ali che si aprono leggere e diafane. Sono ali che attivano un’idea più che un moto. Impercioché l’opera di Riccardo ci invita in un altrove miracoloso, pur restando con i piedi per terra anche senza la testa.

A me piace sempre citare Hermann Hesse: «Arte è, dentro ogni cosa mostrare Dio». Mi è sempre piaciuta per tre motivi. Uno perché è breve. Due perché è facile da ricordare.

Sono colori assoluti e universali che contengono tutto.

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Una mostra

Riccardo Paracchini affronta le tematiche del Sacro esponendo delle tele, elaborate in periodi diversi della sua ricerca artistica. Ad ogni grande tela è affiancato da un piccolo dipinto su carta di giornale, poi riprodotto e riletto in grande.

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Riccardo Paracchini, o della Trasfigurazione

di SERGIO MANDELLI 2018 La sua carriera d’artista ha sempre preso in considerazione l’aspetto della mistica.
Sono stato attratto da alcuni dipinti recenti che ho scoperto in rete e che trovo incantevoli.
Sono figure sacre, madri con bambino, sacre famiglie, ma soprattutto angeli.